venerdì 4 novembre 2016

It's pilot time



In questi giorni avevo voglia di provare nuove emozioni. C’è chi lo fa partendo col proprio fidanzato o la propria fidanzata, chi lo fa cambiando lavoro, chi lo fa sposandosi (boh forse non è la motivazione più corretta questa per celebrare un matrimonio ma io cosa ne so, fate come vi pare), e poi ci sono io che lo faccio iniziando nuovi telefilm.
In questa fase di pazzia, superata solo da Marissa Cooper che lancia uno sdraio in piscina, ho guardato ben 4 nuovi pilot (con pilot si intende il primo episodio della prima stagione di un telefilm), ovvero: The Young Pope, Westworld, Eyewitness e Victoria. 
Premetto che non ne parlerò dal punto di vista tecnico perché le mie competenze in materia sono più o meno quelle di Trump riguardo la Costituzione Americana, ma tratterò piuttosto delle mie sensazioni e pensieri riguardo la trama e i personaggi.

The Young Pope narra le vicende di un giovane cardinale americano, Lenny Belardo, che diventa papa. Le persone attorno a lui credono di poterlo manovrare, in realtà ci si rende conto si da subito che non sarà così. Il telefilm è scritto e diretto da Paolo Sorrentino e nel cast troviamo, tra gli altri, Jude Law (che interpreta Lenny) e Diane Keaton.
L’episodio inizia subito dopo la nomina di Papa e si capisce immediatamente di quanto Lenny sia lontano da ciò che ci si aspetterebbe da questa figura. Di seguito vi trascrivo un estratto di un suo discorso:

“…e cos’altro abbiamo dimenticato? Ci siamo dimenticati di masturbarci, di usare anticoncezionali, di abortire, di celebrare i matrimoni omosessuali, di permettere ai preti di amarsi tra loro e di sposarsi, anche. Ci siamo dimenticati che possiamo morire se  non vogliamo più vivere, e di fare sesso per motivi diversi dalla procreazione senza sentirci colpevoli…”

Gli elementi che più colpiscono di questo telefilm, sono i dialoghi (come si può notare dalla citazione sopra) e i personaggi. I personaggi sono tutti interessanti e spero, ma sono abbastanza convinta succederà, verranno approfonditi, nessuno è solo come sembra, tutti hanno un passato che secondo me vale la pena raccontare. E i dialoghi sono ironici, sarcastici, pungenti e intelligenti, anche quando all’apparenza estremamente stupidi. Lo sono quelli che vedono come protagonista Lenny perché le caratteristiche sopra indicate fanno parte della sua persona, ma lo sono anche gli altri.
I primi minuti scorrono un po’ lenti, ma successivamente prende un ritmo più veloce e non l’ho mai trovato noioso. Dunque per me è assolutamente promosso e lo continuerò sicuramente.


I prossimi due pilot li ho iniziati a guardare con le stesse premesse, ovvero consapevole che non fossero assolutamente il mio genere e che la trama mi annoiasse già solo leggendola. E voi direte “Perché li hai iniziati allora?”, potrei dirvi di avere una risposta a questa domanda, ma starei mentendo, quindi andiamo con l’onestà: non ne ho idea.

Il primo è Westworld. Il tema principale è il mondo degli androidi sintetici, quindi robot con sembianze umane (chiedo scusa a tutti gli intellettuali di robotica et similia per questa spiegazione super scientifica). Ciò che lo distingue dai molti film e telefilm sull’argomento è che questi androidi sono inseriti in una cittadina western che è interamente popolata da loro e che la storia viene affrontata sia dal punto di vista di questi androidi, sia da quello del team di umani che li hanno creati. L’obiettivo di quest’ultimi è renderli sempre più vicini agli esseri umani, ma uno degli ultimi aggiornamenti inseriti ha provocato delle conseguenze nei comportamenti e il team fatica a controllarli. Sorprendentemente questo telefilm non è prodotto da Matteo Salvini, anche se in realtà secondo me lo userà nella prossima campagna elettorale mettendo i “pdini” o i “centri a-sociali” (questa battutona di Matteone non smetterà mai di farmi ridere) al posto del team di umani e gli immigrati nel ruolo degli androidi, inserendo qualche "ruspa" e "hotel a 5 stelle" di tanto in tanto.
Devo dire che non ho ancora deciso se mi piace o no. E’ sicuramente ben fatto e ci sono molti colpi di scena e tra l’altro, anche se può sembrare un paradosso, vengono analizzati approfonditamente le emozioni umane, però una volta finito l’episodio non mi ha trasmesso la voglia di caricare il successivo. E questa sensazione si è protratta anche nei giorni successivi. Credo comunque sia dovuto al mio non interesse riguardo il western e la robotica. D’altra parte però ci sono film e telefilm che trattano degli androidi (come per esempio Ex Machina per quanto riguarda i film e Humans per quanto riguarda i telefilm)  che ho trovato molto più appassionanti. Probabilmente guarderò il secondo episodio e da lì deciderò se continuare o meno. Perché come si suol dire: mai giudicare un telefilm dal pilot.

L’altro telefilm è invece Eyewitness. 
La trama in breve: Philip e Lukas si trovano in un capanno di proprietà del padre del secondo, quando arriva un gruppo di uomini armati. I due ragazzi si nascondono e assistono all’uccisione di alcuni di questi uomini da parte di uno di loro. Da questo momento la polizia indaga sul fatto e si originano altre morti legate a queste.
La narrazione è molto interessante e appassionante. Ci sono momenti di suspense e di certo fa venire voglia di continuare la visione. Dopo il pilot, infatti, ho caricato i successivi tre episodi usciti, uno dietro l’altro (di cui uno alle quattro e mezza di notte perché non riuscivo ad attendere oltre). Un altro elemento interessante del telefilm è la storia tra i due ragazzi. Apparentemente potrebbe sembrare il solito cliché: Philip è gay, consapevole di esserlo e tranquillamente a suo agio con questo; Lukas, invece, è la prima volta che prova queste sensazioni per un ragazzo e non ne capisce il motivo, continua infatti a non ritendersi omosessuale, ha una ragazza e diventa spesso brusco e violento quando Philip  lo mette di fronte all’evidenza. Però, in realtà, gli atteggiamenti di Philip sono molto più profondi e non lo fanno coincidere totalmente con il tipico cliché. Però non vi racconto altro perché credo sia molto più interessante scoprirlo guardandolo.
Credo sia chiaro, e se non lo è lo ripeto, che per me questo pilot è assolutamente promosso.


L’ultimo telefilm di cui parlo è Victoria. Per ora ho visto solo il primo episodio, ma vi anticipo che mi è piaciuto molto e quindi lo continuerò sicuramente, però è uscita tutta la prima stagione che conta 8 episodi. In questo telefilm troviamo raccontate le vicende della Regina Vittoria, che ha regnato in Gran Bretagna e in Irlanda dal 1837 alla sua morte. Avendo visto solo il pilot non posso dire se e quanto sia fedele alla storia originale. Da appassionata di telefilm storici posso però dedurre che ci sarà, come di solito succede, una parte di elementi fedeli alla storia della vera Regina raccontati però in modo romanzato. Se avete già visto telefilm di questo genere, potete già immaginarvi cosa aspettarvi, ripetono tutti più o meno lo stesso schema. In questo caso però troviamo alcune note di originalità (che però riprendono la storia originale) come l’infatuazione di Vittoria, regina diciottenne, nei confronti di Lord Melbourne un uomo della sua corte molto più grande di lei. La narrazione l’ho trovata comunque molto interessante, non mi ha mai annoiato e anzi mi ha messo la curiosità di continuarlo per conoscere meglio lei, la vicenda con Lord M., e le relazioni con tutte le altre persone della sua corte. E’ un telefilm molto corale quindi pur essendo lei la protagonista, tutti i personaggi sono ben strutturati e interessanti.


Voi avete visto uno di questi pilot? Cosa ne pensate? Se non avete ancora visto nulla quale vi interessa di più? Quali sono i pilot che più vi hanno colpito in generale tra quelli visti?

Aspetto i vostri pareri,
a presto,
Frè.

giovedì 27 ottobre 2016

Madame Bovary mi ha insegnato a dormire a occhi aperti.




Con questo libro ho commesso due cose che non faccio mai: sto scrivendo questa recensione/commento prima di aver terminato il libro (secondo il mio ebook reader ho letto il 70% del totale) e non ne continuerò la lettura (almeno non per il momento). 
Mentre lo leggevo mi è successa un’altra cosa che di solito non mi succede quando leggo (sto parlando dei libri letti per piacere perché con i testi di scuola mi è successo spesso) credo – ma non ne sono certa – di essermi addormentata varie volte. Dico di non esserne certa perché è avvenuta la stessa cosa che avviene quando stai  guardando un film e, dopo aver chiuso gli occhi per 5 minuti, ti accorgi che il film è andato avanti di un’ora. In questo caso gli occhi rimanevano aperti ma il cervello si addormentava. Grazie a Madame Bovary, quindi, ho imparato a dormire a occhi aperti.  

Di seguito vi racconto in breve la trama e vi dico cosa, secondo me, non ha funzionato, anche se dalle premesse ero molto ottimista.

Madame Bovary narra le vicende di Emma, una ragazza di campagna, che sposa Charles Bovary un medico rimasto vedovo. Lei, all’inizio del matrimonio, ha moltissime aspettative riguarda la vita che andrà a fare, salvo poi rendersi conto di quanto queste fossero lontane dalla realtà perché lei trova che Charles, pur essendo un brav’uomo, sia estremamente noioso. Dunque Emma cerca di rendere la sua vita quanto più vicina alla sua fantasia in altri modi – tra cui, iniziando altre relazioni parallelamente al suo matrimonio. Ironico come questo sia esattamente quello che è successo a me con il libro. Forse Flaubert voleva farci vivere le emozioni di Emma, facendosi totalmente immedesimare in lei.

Perché ero partita con grandi aspettative?
Innanzitutto perché è un classico, e a me generalmente questo modo di raccontare le cose: descrittivo e a tratti lento piace molto, ma qui ne ha approfittato un po’ troppo il mio caro Gustave. Tra una lentezza bella e una che in una gara di lentezza tra questo e io che torno a casa a piedi dopo aver fatto crossfit (e vi assicuro che cammino come Bambi appena nato), vince il primo, è un attimo.
Un'altra cosa che mi interessava molto era la figura di Emma. Qui ammetto che non sono rimasta totalmente delusa poiché il suo personaggio, nella prima parte del libro, l’ho trovato molto interessante. Mi è piaciuto l’approccio diverso – considerando che è stato pubblicato per la prima volta nel  1856 – che ne ha dato dell’amore femminile. Emma ha bisogno di passionalità, sorpresa, divertimento, elementi che non trova in suo marito.

“L’amore , lei pensava, deve arrivare all’improvviso con grandi tumulti e fulmini, - un uragano nel cielo che ricade sulla vita, che la rivoluziona, (…), e trascina il cuore dentro gli abissi”.

Sicuramente le modalità in cui lei faceva capire al marito di essere insofferente erano discutibili. Non gli ha mai spiegato il problema, semplicemente lo trattava con modi molto sgarbati e irrispettosi (in queste occasioni non mi trovavo d’accordo con lei), però il malessere di base era intrigante.
Come ho detto precedentemente, resasi conto di non volere una vita così monotona, cercava dei modi per movimentarla: è diventata madre, ma poi si è accorta che questo non era sufficiente, ha iniziato la lettura di diversi libri per vivere altre vite e alla fine ha cominciato a tradire Charles Bovary iniziando relazioni con altri uomini. 

A questo punto, abbiamo una Emma completamente diversa. Da una totale apatia, ci troviamo di fronte a una persona totalmente ossessionata dal suo partner, in particolare nella seconda relazione che instaura:

“Ti amo tanto da non poter vivere senza di te, capisci? Certe volte provo un tale desiderio di vederti che mi sento lacerare da tutte le furie dell’amore…”

Capisco che questa relazione sia stata per lei l’unica cosa che effettivamente la scuoteva dall’apatia e di conseguenza l’ha idolatrata a tal punto da diventarne totalmente ossessionata, però l’ho trovato il solito cliché della donna pazza per amore, pazzia non ricambiata dall’uomo il quale ne è anche infastidito. 

Da qui in poi, quindi, la noia per me si è moltiplicata. Oltre alla già citata estrema lentezza, non c’erano più gli stimoli che il personaggio di Emma mi aveva dato in precedenza a farmi continuare la lettura, quindi ho smesso. Forse andando avanti migliora ma, onestamente, dopo aver letto a fatica ¾ di libro, anche se la parte finale fosse esaltante (sono già a conoscenza di come finisce) la mia opinione nella globalità non cambierebbe. 

Ora vi chiedo: voi che ne pensate? Mi piacerebbe instaurare un dialogo a riguardo perché magari non ho capito il libro. Se lo avete letto o se siete informati sull’autore o sul contorno di quest’opera e la pensate diversamente da me, ditemi la vostra! Oppure ditemi se anche voi avete riscontrato questi, o altri, elementi negativi.
 
A presto,
Frè.  

venerdì 9 settembre 2016

Prima della quiete di Elena Gianini Belotti



Siete in un periodo di tristezza generale e cercate un libro divertente, allegro e positivo? Se è così allora questo libro non fa assolutamente per voi, mi spiace. Se invece siete come me e quando siete giù di morale avete il bisogno fisico e psicologico di leggere e ascoltare cose che peggiorino ulteriormente il vostro umore, leggetelo assolutamente. 

Questo libro è la storia vera di Italia Donati, nata nel 1863 nel Cintolese (un comune in provincia di Pistoia). Italia sin da piccola aveva una predilezione verso lo studio e il suo sogno era quello di diventare insegnante, sogno che riesce a realizzare diventando maestra comunale. Ma, purtroppo, la sua voglia di essere una donna emancipata, si è dovuta scontrare con la mentalità chiusa di Porciano, paese in cui si era trasferita per lavoro e così, non riuscendo più a sopportare le voci false che giravano sul suo conto, si è tolta la vita. 

Il giorno in cui l’ho finito ero in treno per tornare a casa da Bologna. Era una sera di inverno. E io ero seduta sulla poltrona del treno con gli occhiali da sole che piangevo. Piangevo. E sì, piangevo ancora. Se state pensando che questo libro vi strazierà l’anima, avete pensato bene. Ma è anche molto di più. 
E’ un libro che racconta l’Italia di fine ‘800, è un libro che ce la fa vivere come fossimo lì. Ci fa arrabbiare. Ma, allo stesso tempo, ci fa sperare. Ci fa sperare di cambiare quella fine. Perché lei passa tutta la sua vita a lottare. E non lo fa usando i draghi (pun intended) o le spade laser, lo fa in tutta la sua fragilità di essere umano. E in questo libro ci vengono mostrati gli esseri umani in tutti i loro frangenti. E scopriamo che il bene non sempre vince. La crudeltà, in alcuni casi, può avere la meglio. Lei ha passato la sua vita a combattere per l’emancipazione femminile, in un epoca in cui anche fare la maestra sembrava inconcepibile. Anche se le persone vicine a lei glielo sconsigliavano, lei è andata avanti, ha lottato e ha perso. 

E allora io credo che se leggiamo la sua storia, e in tutto quel dramma troviamo il filo di speranza che sottende il libro e portiamo avanti la sua battaglia, allora un giorno il finale potrà davvero cambiare.
 
A presto,Frè.  

mercoledì 29 giugno 2016

Perché Holly di "Colazione da Tiffany" è uno dei miei personaggi letterari preferiti.



Holly Golightly è la protagonista di Colazione da Tiffany, un breve romanzo di Truman Capote. Il romanzo è narrato in prima persona da uno scrittore – di cui non ci viene rivelato il nome – che vive nello stesso palazzo di Holly. Lo scrittore ci racconta di come ha fatto la conoscenza di Holly e di come si è sviluppata la loro amicizia. Come struttura è molto semplice ed è un romanzo breve, quindi si legge molto velocemente, però è davvero accattivante. Soprattutto lo sono i personaggi, ognuno è estremamente interessante e ben raccontato. Il mio cuore appartiene però a Holly e qui di seguito vi elenco i motivi:

[Avviso i gentili lettori e le gentili lettrici che prima di continuare la lettura dovete munirvi di una grande dose di ironia.]
  • Non apre un profilo instagram al proprio gatto. Va bene all’epoca non esisteva instagram, ve lo concedo, ma sono sicura che se anche fosse esistito non lo avrebbe fatto comunque. Rispetta la sua indipendenza, accetta il fatto che nessuno dei due appartiene all’altro. Non lo costringe a indossare degli occhiali da sole per fare una serie di simpaticissime foto di cui riderne con gli/le amici/amiche. E non gli ha nemmeno dato un nome. Niente Fluffy, Puffy, Fido, patatino, biscottino. Gli animali non meritano queste violenze. Imparate da Holly.
  •  Sta cercando il suo posto nel mondo. In realtà lo ha trovato, però – purtroppo- non è possibile per lei trasferirsi dentro il negozio di Tiffany. E mi riconosco tantissimo in questa cosa. Come lei sono perennemente in transito. Chissà se anche casa mia è dentro Tiffany o se, data la mia solita fortuna, poi scopro che invece la mia è Desigual.
  •  Si fidanza con tutti milionari. Basta con queste storie in cui la protagonista molla l’avvocato che ha talmente tanti soldi da usarli come carta igienica, per il poveraccio che le attacca le luci di Natale sul tetto. Con i soldi sapete quanti/e addetti/e alle luci di Natale potete comprare? Potete persino farvi scrivere sul tetto “TUTTI/E PORACCI/E” che si illumina quando battete le mani.
  • Beve qualunque cosa purché abbia una percentuale alcolica. A una festa a casa sua, finito l’alcool, si accontenta anche dell’ammoniaca. 
  • Rispetta l’amore in tutte le sue forme. Non fa distinzione di genere o nazionalità, a lei basta abbiano i soldi.

Come ho anticipato all’inizio, questo post è estremamente ironico. Holly è un personaggio molto complesso e affascinante. Potrebbe sembrare superficiale e stupida, ma non lo è affatto. Il suo modo di essere è diverso da quello delle tipiche protagoniste che ritroviamo nei romanzi attuali. Ho semplificato molto alcuni dei punti, secondo me, più rilevanti del suo carattere, ma vi consiglio di leggere il romanzo e di fare la conoscenza di questa ragazzina così particolare. Il romanzo si discosta molto dal film, trovo il primo migliore, soprattutto per quanto riguarda la scrittura del personaggio di Holly. Poi una volta che lo avrete letto, ci daremo tutti e tutte appuntamento davanti a Tiffany per fare colazione insieme e guardare tutte le cose che non ci possiamo permettere.

A presto,
Frè. 

sabato 18 giugno 2016

Le 5 cose che ho imparato e le 5 cose che non ho imparato dalle convention

Ho fatto esattamente 5 convention finora. Riflettendo su questa cosa ho deciso così di elencare le 5 cose che le convention mi hanno insegnato e le 5 cose che invece ancora no.
Parto da quelle che devo ancora imparare.
  1. Fare la valigia. Questa è una cosa che chi viaggia con me deve affrontare. Per quanto essendo un'universitaria fuori sede faccio la valigia almeno due volte al mese, quando devo farla per le convention vado in panico. Dimentico qualunque cosa: trucchi, prodotti per le lenti a contatto, vestiti.... Per uno spazzolino ho fatto girare la mia amica per la città per comprarlo. Sono consapevole di avere questo problema. So che devo farla per tempo, con calma, in un momento in cui nessuno mi disturba e i pianeti sono allineati, però alla fine continuo a ritrovarmi a farla mentre con una mano mi asciugo i capelli, con l'altra stampo i biglietti dell'aereo e intanto prego che il treno sia in ritardo sennò lo perdo. Un genio insomma.
  2. Parlare con gli attori/le attrici. Arrivo agli autografi con un discorso poetico su quanto questa persona sia importante per me, su quanto il mondo mi sorrida da quando è entrata nella mia vita, su quanto affetto io provi nei suoi confronti, poi arrivo davanti a loro e quello che dico è: "Hi......." e porgo il cartoncino col mio nome. Vi giuro che tra il "ciao" e il porgere il cartoncino, faccio un discorso così profondo e toccante che se lo dicessi vincerei un premio per il discorso più profondo e toccante mai detto. Però non ci riesco. La connessione cervello-bocca si interrompe, con tanto di vocina che dice: "Le trasmissioni riprenderanno il prima possibile. Ci scusiamo per il disagio".
  3. Uscire bene in foto. Le ho provate tutte, davvero. Foto frontale, foto di profilo, foto buffa, foto seria, foto sorridente. E il risultato è sempre lo stesso:un disastro. E uguale con gli outfit: vestito, tutina, pantaloni, pantaloncini. Inguardabile. L'unica speranza è la foto di spalle o, ancora meglio, una foto in cui io me ne vado e viene preso solo l'attore/l'attrice.
  4.  Risparmiare. "A questa convention non mi interessano tanti ospiti. Prendo una foto con quello che mi piace tanto e basta". A fine convention mi trovo con: tre meet, diciotto foto, quindici autografi, eventuali extra delle serate che organizzano, gadget vari comprati ai banchetti e una batteria di pentole Mondial Casa.
  5. Come si smette di farle. Ma in realtà: chi vuole smettere?
   Per dimostrarvi che ogni tanto qualcosa la imparo anche io, ecco invece le 5 cose che ho imparato dalle convention. 
  1.  Prendere le cose con filosofia. So già che farò delle figuracce. Perchè è nel mio essere farle: inciamperò alle foto, balbetterò agli autografi, parlerò di cose che non interessano a nessuno (nemmeno all'attore o all'attrice in questione) al meet.... Lo so già. Ho imparato quindi a non chiedere agli/alle assistent* una pala con cui fare una buca, ma semplicementi a riderci sopra.
  2. Gli attori sono esseri umani. Può sembrare una stupidata, ma prima di vederl* dal vivo, facevo fatica a pensare che anche loro sono persone. Sono proprio esseri umani. Hanno delle ossa, la pelle, le braccia, le gambe. Esistono, usano il wc, si muovono.... Wow.
  3. Viverle con tranquillità. Questo punto è legato ai due precedenti. La prima convention l'ho fatta in uno stato di totale ansia/panico. Non mi rendevo conto di quello che succedeva, non mi godevo niente, nel cervello avevo le scimmiette che battevano i piatti. E con questa scusa mi sono comprata tre foto più del previsto perchè: "Non mi ricordo cos'è successo, devo rivederl*". Salva i soldi, salva il mondo.(E salva te da un'ordinanza restrittiva).
  4. Ossessionarmi con nuovi/e attori/attrici. Ogni volta che torno da una convention, arrivo a casa in fissa con una nuova persona. Non importa chi sia, se durante la convention mi ha colpita per qualche motivo è finito/a. E non c'è niente che lui/lei possa fare per rimediare alla situazione. Il danno è fatto.
  5.  Noleggiare una macchina a Parigi. Questa è una cosa che ho imparato lo scorso maggio. Essendo l'aeroporto e la convention molto lontani, io e Alice (sempre quella che ho mandato in giro a comprarmi lo spazzolino), abbiamo noleggiato una macchina a caso, facendo un'ora per la campagna francese. Il mio arduo compito in quel caso era di snapchattare mentre lei guidava. Ognuno fa quello che può insomma.
A presto,
Frè.